La Cassazione stana Atac. Parlare di "vergogna aziendale" non è diffamazione

Nella sentenza del 2013, la Suprema Corte ha sottolineato che "sussiste l'esimente dell'esercizio del diritto di critica sindacale".



La Corte di Cassazione è stata chiara. Il sindacalista può parlare di «vergogna aziendale» se denuncia modalità scorrette dell’organizzazione del lavoro, volte a favorire alcuni a scapito di altri, senza ricorrere nel reato di diffamazione. Sentenza n. 38962/2013. Punto. 

Nel clima da «caccia alle streghe» che sarebbe stato instaurato dai soliti noti in Atac SpAcondito da minacce, licenziamenti e procedimenti disciplinari a raffica (molto spesso pretestuosi), lo sa bene il senatore Espositoricordare ai lavoratori e ai rappresentanti sindacali questa sentenza è un atto doveroso. Sono esclusi, per ovvie ragioni, la maggior parte delle RSU della Triplice, che secondo molti si «sono calate le braghe».

Nel caso specifico, il sindacalista aveva denunciato il fatto che troppi medici del Dipartimento di salute mentale, fossero stati esentati dalla reperibilità notturna e da altre turnazioni. Critiche che il Direttore medico, responsabile dell’Ufficio prevenzioni e protezioni interna dell’Asl di Pescara, aveva mal digerito. Ma il suo ricorso è stato respinto dalla Suprema Corte. Una sentenza da conservare gelosamente.  

In tema di critica, la Cassazione ha ricordato che «sussiste l’esimente dell’esercizio del diritto di critica sindacale (art. 51 C.P.) qualora il rappresentante di un’organizzazione sindacale indirizzi una missiva a vari enti istituzionali nonché alla stessa parte lesa, che censuri le scelte di quest’ultima, ipotizzando a suo carico la realizzazione di comportamenti penalmente rilevanti».

«La missiva inviata dall’imputato certamente non ha per oggetto immediato l’efficienza dei servizio, ma, nella prospettiva sindacale assunta dall’autore, le modalità di svolgimento delle funzioni dell’ufficio Prevenzione e Protezione. La ragione della ritenuta sussistenza dell’esimente, pertanto, sono state individuate proprio nel fatto che le espressioni, certamente aspre, adoperate, erano finalizzate a denunciare modalità di organizzazione del servizio, che, al di là dei riflessi sull’utenza, si traducevano, secondo l’assunto del primo, in favoritismi a favore di alcuni medici e in danno di altri».

E ancora: «Proprio l’assenza di una connotazione personale delle espressioni – tutte rivolte al risultato dell’attività e non al suo autore – e la loro funzionalizzazione allo svolgimento delle funzioni di rappresentanza degli interessi del lavoratori interessati giustificano la conclusione raggiunta dai giudice di secondo grado».

I Giudici hanno poi aggiunto che «le modalità di estrinsecazione del diritto di critica non hanno superato i limiti della continenza espressiva perché il carattere ‘sconcertante’ o ‘grottesco’ o ‘borbonico’ della situazione, definita come ‘vergogna aziendale’, senza tradursi in una gratuita ed immotivata aggressione alla sfera personale dell’odierno ricorrente, denuncia, come si diceva, il risultato dei denunciati favoritismi». I dirigenti e luogotenenti di Atac, sparsi nelle rimesse, sono stati avvisati. Alé.

   David Nicodemi

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