Cari Confederali, dov'è la trasparenza in Atac?
In questi momenti le
parole non servono ad alleviare il dolore. Vogliate accettare le mie più
sentite condoglianze per la Vostra grande perdita.
David Nicodemi
Si è scatenato il finimondo intorno al macchinista che
dalla Linea A è stato trasferito
sulla Roma-Lido. Un autentico
linciaggio mediatico, a colpi di comunicati stampa e di post infuocati
disseminati sui social, andato avanti per tutta la giornata di mercoledì 14
settembre, il giorno della discordia.
In Atac SpA hanno
cercato di stemperare gli animi, spiegando che quel provvedimento non prevede «nessun
adeguamento di parametro e inquadramento». E cioè, niente promozione né aumento
dello stipendio. Chiaro. «Nel diffidare chiunque dal far circolare notizie
diffamatorie», sono stati costretti a scrivere in via Prenestina, «è confermato
che nel caso specifico si procederà con le opportune azioni di tutela nelle
sedi deputate». Parole cadute nel vuoto, gli attacchi sono proseguiti,
imperterriti, e, con sorpresa, non solo da parte delle organizzazioni
sindacali.
Dal Campidoglio, è stato il Presidente della
commissione trasporti Stefàno a
prendere la palla al balzo, rimarcando che «in Azienda i vecchi vertici continuano a spostare, promuovere o licenziale il
personale». Altra benzina sul fuoco e, al contempo, favoloso assist a quanti,
in Atac, avrebbero l’abitudine di contestare sistematicamente «la pagliuzza
nell’occhio» pur di accattivarsi le simpatie dell’Amministrazione di turno e di
mantenere la propria egemonia.
Se ci fosse stata una gara, nella quale vinceva chi
riusciva a tritare per primo il macchinista, l’ambito premio sarebbe stato sicuramente
assegnato alla Segreteria del Consiglio Aziendale
(SCUA) della triplice (Cgil, Cisl e Uil), per la velenosa nota resa pubblica mercoledì stesso, spedita persino
al senatore Stefano Esposito (per quali
ragione, poi?). «Compito inesistente», hanno ringhiato, «assegnazione del tutto
affine ad un riconoscimento ad personam,
per scopi esogeni agli interessi dell’Azienda», e via così. Accuse
pesantissime. Ma quali sarebbero gli interessi esogeni del conducente? Cosa
potrebbe mai escogitare, per meritare la pubblica gogna? Lo spaccio dei
rubinetti freno o dei fogli di corsa? Cosa? Lo spiegassero. Inoltre, «gli è
stato accordato [al macchinista ndr] un trasferimento presso la sede di Acilia
(sembrerebbe vicino alla propria abitazione): restiamo sconcertati, che a quel
punto avrebbe potuto istituire ad personam
anche la comodità del telelavoro». «È doveroso annullare immediatamente
tale provvedimento». Ancora toni scandalisti, la «pagliuzza nell’occhio».
Nel penultimo capoverso si afferma che è stata
prevaricata «ogni norma sulla trasparenza
e meritocrazia», chiuse le
virgolette. Ma la vita di Atac è impregnata di casi che avrebbero offuscato la
trasparenza, termine di cui spesso si abusa. Da qui, gli interrogativi: Quant’è
genuina questa presa di posizione? La triplice se la può permettere? Se quel
macchinista fosse stato un loro iscritto, la Segreteria avrebbe alzato la
stessa cagnara?
Tralasciando lo scandalo del Dopolavoro, in mano alla Procura di Roma, restano da chiarire
alcuni casi specifici, trattati anche nel Blog, diventati col tempo simbolo del
rapporto perverso, incestuoso, che correrebbe tra l’Azienda e i Confederali. Episodi
caduti nel silenzio, nel obblio dei millenni. I «mancati scontri sulla Roma-Viterbo» [cliccare qui],
molto grave, le denunce, continue, di una RSU, sempre della Viterbo, che
richiamavano l’attenzione sul tema della «sicurezza»
(Carro Scala ed elettromotrice a Sant’Oreste che sarebbero stati sempre in tensione,
procedura non ammessa), la storia del «Dirigente-macchinista»
[cliccare qui]
e quella del «personale Fuori posizione»
[cliccare qui]
– anche in questo caso, dov’è la trasparenza e perché in Atac dormono? -.
Rimanendo sulla tanto decantata trasparenza, non si può far a meno di evidenziare che gli accordi «a
perdere» su Era 1/Era2, siglati dai
Confederali a più riprese (27 giugno 2014, 2 settembre 2014, 17 luglio 2015, 13
settembre 2015, 11 dicembre 2015, ribaditi il 23 febbraio 2016), dovevano
essere sottoposti a Referendum, in
virtù dell’accordo interconfederale del 2011. Questo passaggio è stato spiegato
(ecco, la trasparenza) ai lavoratori Atac, che si sono visti decurtare la paga
base? Adesso la Cisl, svegliatasi
dal torpore, intende abbracciare la causa del referendum che, secondo loro, dev’essere
svolto «secondo le normative vigenti». Ma se le «normative» sono del 2011,
perché se n’è uscita solo ora, a distanza di due anni? Perché non lo ha fatto
prima? Perché non si è battuta fin dall’inizio, insieme ai sindacati minori,
che hanno proclamato scioperi e preparato azioni legali a tutela dei
lavoratori? Cosa glielo ha impedito e perché?
E che dire degli incarichi sfornati in Atac in questi
anni, in virtù del T.U. del 1976? Sono tutti figli della «meritocrazia»? Sicuri?
Bisognerebbe scandagliare l’elenco e studiare attentamente caso per caso. Le
sorprese, secondo gli addetti ai lavori, non mancherebbero.
Un’ultima chicca. Le Confederazioni di Cgil, Cisl e
Uil, sempre loro, il 1 settembre
scorso hanno firmato un accordo con la Confindustria, allo scopo di liberalizzare,
si legge tra le righe, i licenziamenti collettivi. Una proposta devastante che
presto sarà sottoposta al Governo. Non bastava l’introduzione del Jobs Act.
Glielo hanno spiegato, sempre per la trasparenza, ai lavoratori?
Sulla base di queste considerazioni, modeste, si consiglia
alle Scua di ragionare prima di emettere sentenze, di qualunque natura e specie.
I lavoratori Atac sono ingegnosi, non stupidi. Alé.
David
Nicodemi
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