Atac e la cantonata del nuovo Capo del personale


È polemica aperta tra il nuovo capo del personale di Atac Cristiano Ceresatto e i dipendenti della municipalizzata che svolgono «attività di carattere operativo»


È polemica aperta tra il nuovo capo del personale di Atac Cristiano Ceresatto e i dipendenti della municipalizzata che svolgono «attività dicarattere operativo», dagli autisti agli ausiliari della mobilità, richiamati, con la specifica circolare aziendale, all’«uso del vestiario uniforme», pena l’«avvio di appositi iter disciplinari».

La sortita del manager, fin troppo infelice, è stata mal digerita dagli addetti ai lavori, che non gliele hanno mandate a dire. Ai microfoni di RomaToday hanno denunciato che dal 2015 ad oggi Atac ha fornito un paio di camicie per stagione e altrettanti pantaloni, invernali e estivi, e che, inoltre, il materiale utilizzati sono «scadenti. Abbiamo le camice lise e pantaloni a bandelli». Come dargli torto?

Occhio al colletto 
Facendo un rapido controllo, risulta che risale a circa sei anni fa l’ultima fornitura completa della divisa, il tempo di aggiudicare l’appalto, a ribasso e senza indizioni di gara, alla società FORNIT SpA con sede in Vicenza per un valore di 539mila euro (avviso 34-2012). Il vestiario invernale (giacca, pantaloni, jeans, camice, cravatte/foulard, pullover, giaccone) è stato consegnato nel dicembre 2012, quello estivo (giacca, pantaloni, camicie a maniche corte) nel maggio 2013. Successivamente, come sostenuto dai dipendenti e dai rappresentanti sindacali al quotidiano romano, Atac ha avviato la consegna «degli indumenti di durata biennale invernali ed estivi», sia per il «personale maschile» (novembre 2015) che per il «personale femminile» (marzo 2016). Camicie e pantaloni, per l’appunto.

«Una fornitura sempre più risicata», aggiungono i lavoratori in font-line, «nel 2008, ai tempi di Trambus, ci consegnarono anche i guanti, la cinta e il copricapo, molto utile nella fredde notti di inverno. Eravamo orgogliosi». «Se vogliamo essere meticolosi», spiega un macchinista metroferro, «questa divisa non sarebbe funzionale al nostro lavoro; non è un caso che il giaccone di Met.Ro., molto più resistente e agevole di quello attuale, fosse dotato di bande catarifrangenti, indispensabili per le manovre nei depositi o quando siamo costretti a scendere dal treno nelle ore serali e in piena linea, con la sede buia, magari per risolvere un’anomalia tecnica oppure per svolgere un’evacuazione».
Ecco con quali camicie vanno in giro i dipendenti Atac
Un tempo decisamente lungo rispetto a quanto scandito dal Contratto Collettivo Nazionale degli Autoferrotranvieri in vigore (per esempio: «una divisa - giacca e pantaloni - all' anno»; «un cappotto ogni 4 anni» etc.) e dalla contrattazione aziendale, entrambi richiamati nella circolare, nonché, se vogliamo, dal Testo Unico sulla Salute e Sicurezza sul Lavoro (D.lgs. 9 aprile 2008, n. 81), poiché l’uniforme è parte integrante delle prestazioni lavorative.  

Ma ancora non è tutto. Il fatto che in tali circostanze, messe insieme, i lavoratori siano stati costretti a consumare abiti propri o acquistare indumenti similari alla divisa al fine di espletare il servizio, potrebbe aprire scenari poco trascurabili. La condotta di Atac potrebbe essere interpretata come una mancanza verso obblighi legittimi, e finire, pertanto, tra le maglie della Corte di Cassazione. Che con la sentenza del 9 giugno-20 novembre 2003 n. 17639 e quella del 29 maggio 2012 n. 8531, tanto per citarne alcune, ha ribadito che quei dipendenti «vanno risarciti» dalle aziende di appartenenza.

Prima di «richiamare» il personale, esponendolo ancora una volta a pubblico ludibrio, Ceresatto avrebbe fatto bene a farsi un giro approfondito nelle rimesse o a contare le vetture arrostite, sicuramente sarebbe tornato sui propri passi. Alé.
     David Nicodemi

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