Caso Quintavalle: il sonno della ragione partorisce mostri



Dovrebbe far riflettere la scritta offensiva dedicata alla sindacalista, da poco licenziata da Atac, su quanto sia ancora arretrata la nostra società

Beh, si può criticare, dissentire e financo litigare, si può dire tutto e il contrario di tutto, legittimamente, è il sale della Democrazia – e con la «D» maiuscola - il confronto, sanguigno ma rispettoso. Diversamente, è da dementi ricorrere agli attacchi personali, alle becere offese, ancor di più se sono di natura sessista. Questo è inaccettabile, oltre che idiota.

Ci sono i modi, civili, per esternare il proprio disappunto, e non sono di certo quelli usati dall’imbecille di turno e diretti alla (ex?)collega Micaela Quintavalle. Bruciata in effige per aver «anteposto la sicurezza al Codice Etico Atac» ma più di tutte, per aver solleticato le chiappe a quei sindacalisti che, impunemente, svolgono la propria attività comodamente seduti sulle poltrone. E sì, giusto o sbagliato che sia, bisogna prendere atto che le gesta della sindacalista hanno sì diviso, con annesse polemiche, ma nello stesso tempo esse hanno scosso e risvegliato dal torpore la maggior parte delle Segreterie, le quali, con la sua entrata in scena, si sono messe a correre, inseguendola ovunque pur di mantenere gli iscritti. E questo non le sarà mai perdonato.

Tanto che in molti hanno gioito o stappato bottiglie, nel segreto delle proprie stanze, quando Atac le ha sventolato in faccia il cartellino rosso, dopo 128 giorni di agonia. È normale? Certo che no, è assurdo brindare di fronte al licenziamento di un dipendente, di un lavoratore e, soprattutto, di un collega, qualunque siano i rapporti interpersonali. Comunque, tale aspetto passa in secondo piano, rispetto all’insulsaggine raggiunta da colui che ha lasciato, sul muro del cesso del capolinea 98, la scritta offensiva dedicata alla Quintavalle e, implicitamente, alle donne.
È un messaggio di uno squallore disarmante, cosparso di una scurrilità bieca e stereotipata, che ancora oggi, purtroppo, rappresenta un grande problema del mondo femminile. Che, sebbene l’evoluzione straordinaria raggiunta negli ultimi anni, continua a essere circondata da forme estreme (e rozze) di arretratezza culturale. Quella scritta è, infatti, un attacco, una sconfitta, un vile pugno allo stomaco all’eguaglianza dei genere, il cui cammino è stato periglioso. La sua comparsa dovrebbe far riflettere e spingere chiunque a esprimere solidarietà nei confronti di chi l’ha subita. Alé.
     David Nicodemi

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