Esposito, ex-assessore ai trasporti, impallina i Confederali: "Blocco di potere in Atac"
Il senatore dem Stefano Esposito |
Nell'intervista rilasciata dal senatore al quotidiano La Stampa emergono aspetti dai connotati inquietanti nella gestione della municipalizzata. Cantone ha trasferito gli atti alla Procura di Roma, dandogli ragione
È noto che il senatore dem Stefano Esposito non le manda dire. Ai microfoni di Iacomo Galeazzi de La Stampa, l’ex assessore capitolino ai trasporti, ha parlato,
senza mezzi termini, di un «blocco di potere» costituito dai «sindacati
confederali e direzione del personale,
che hanno sempre avuto in mano l’Atac.
Appalti, gestione delle mense, manutenzione degli autobus, parcelle agli
avvocati amici. Passa tutto da lì». Un sussulto.
È stata implacabile la sua disamina, apparsa ieri, 18
agosto, sulle pagine del quotidiano
torinese: «A luglio 2015, appena arrivato in Campidoglio, cominciai a girare alle cinque di mattina coi conducenti
della metro. Loro per turni di sei ore e mezza non potevano andare in bagno,
i sindacati
invece si occupavano solo di promozioni, pasti al dopolavoro, distacchi.
All’Atac fa carriera chi è iscritto ai sindacati giusti, soprattutto Cisl, gli
altri vengono penalizzati. Mi sono imbattuto subito in un rapporto incestuoso
tra pezzi dell’azienda e alcuni sindacati».
Dichiarazioni che scuotono, specie adesso che il Presidente
dell’Anticorruzione Cantone ha
trasferito alla Procura di Roma gli
atti relativi alle denunce sul «sistema malato nel trasporto pubblico della
Capitale», presentate dal senatore. È «un rapporto organico – ha poi aggiunto
l'esponente dem -, di potere e spartizione. All’Atac mi hanno subito raccontato bugie.
Mi accorsi che chi comandava davvero era il capo del personale Giuseppe De
Paoli, manager dell’Alitalia fallita, molto legato ai vertici nazionali della
Cgil. Per chi è fuori da questo patto, ci sono punizioni e richiami. Mi trovai
da solo a lottare contro scioperi selvaggi e metro bloccate».
Secondo il senatore, «l’obiettivo» del patto
è quello di «tenere nascosta la verità in un’Azienda che ha avuto miliardi a
valanga dallo Stato e nessuno sa che fine abbiano fatto quei soldi. Nessuno per
anni ha fatto manutenzione sulla metro. Mense aziendali e dopolavoro sono state
zone franche per far guadagnare i sindacati. La conferma della spartizione l’ho
avuta sugli acquisti».
E ancora: «I vertici Atac volevano comprare 700 nuovi
autobus. Io non mi capacitavo di come un’Azienda devastata dai debiti potesse
fare un acquisto del genere e proposi di comprarne 150 in leasing, più sette
anni di manutenzione. Scoppiò il finimondo. Fu presa come una dichiarazione di
guerra. Azienda e sindacati mi saltarono addosso. Si infuriarono tutti:
“Abbiamo le nostre officine”. Avevo messo le mani su interessi inconfessabili.
A quel punto mandai tutto a Cantone: irregolarità negli appalti, cinque anni
senza una gara, i contenziosi legali assegnati sempre agli stessi studi legali.
Tutto avveniva fuori da qualsiasi percorso di regolarità. Trovai contenziosi
legali per milioni di euro affidati ad avvocati esterni, portati dalla
direzione del personale. Parcelle colossali per cause da milioni». Alé.
David Nicodemi
(*) Foto de L'Unità
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