Referendum Atac, una chiacchierata con @ConduttoreMetroB
A colloquio con uno dei rappresentanti del noto e sagace profilo Twitter: "Referendum anacronistico, gli italiani si sono già espressi sulle liberalizzazioni"
Sigarette da un lato caffè dall’altra, e di
ottima miscela. Ci siamo seduti in giardino, clima mite, atmosfera accogliente:
all’orizzonte si intravede, oltre la cortina in cemento, il piazzale del
deposito/officina metroferro di Magliana
Nuova, che ospita, tra gli altri, i convogli storici della metropolitana e
della Lido. La conversazione con uno dei responsabili del profilo Twitter @ConduttoreMetrob, pungente e sagace, verte subito sul Referendum consuntivo
dell’11 novembre proposto dai Radicali, sulla liberalizzazione del servizi Atac. «Noi macchinisti», attacca, «voteremo
NO ai due quesiti».
E perché? «Per la prima volta si
usa questo strumento di democrazia nel nostro Comune. Certo, sarà un referendum
di indirizzo, non vincolante, ma comunque molto importante sia per i cittadini
che per l’amministrazione, specialmente questa Amministrazione, che fa dell’uno vale uno, uno dei suoi cavalli di
battaglia». Ebbene? «Il nostro diniego non è per mantenere questo stato comatoso
del trasporto, bensì per lanciare il seguente messaggio: l’Atac è patrimonio di
tutti noi romani, tutti noi abbiamo contribuito a costruire le infrastrutture e
ad acquistare autobus, treni e tram. Perché regalarlo a un soggetto privato? È come
se avessimo una casa in affitto e di punto in bianco decidiamo di farcela
gestire da un intermediario, che vuole la sua parte di guadagno. Noi ci
perdiamo degli introiti che facevamo prima del suo avvento. E poi, diciamocelo,
lo sappiamo come vanno le “privatizzazioni” in Italia, prendiamo il caso di Alitalia. I capitani coraggiosi dovevano trasformarla in una compagnia
virtuosa, invece si sono presi gli slot
migliori, o li hanno venduti a qualche loro amico, hanno condiviso le perdite
(ricordate la bad company), e hanno
preso solo gli utili, pochi in realtà, dopo che hanno svuotato un’azienda
strategica per il Paese. Invito ad andare a leggere un abstract del senatore Walter
Tocci che gira in rete, in cui afferma esplicitamente che dove al privato
non conviene portare l’autobus vi sarà un servizio a chiamata a pagamento,
penalizzando così le periferie meno remunerative del centro città. Inoltre…».
Inoltre? «Gli Italiani si sono espressi
sulle privatizzazioni dei pubblici servizi con un referendum nazionale, dove
vinse il no, quindi ci pare molto anacronistico questo referendum».
Sorseggia il caffè e poi mi
domanda: «e te che hai un Blog molto seguito, che indicazione darai e come
voterai?». Rifletto e mi accendo una sigaretta. «Voterò per il NO, è scontato». «Potrebbe sembrare un
controsenso, non ti pare?», rimbecca. «Potrebbe sembrare, ecco, potrebbe, ma
secondo voi, di chi sono le reali colpe del disastro di Atac?».
«Le colpe sono molte e di tanti
soggetti, ognuno per la propria parte di responsabilità. La prima che ci viene
in mente è la colpa politica, che ci trasciniamo da decenni. La politica, lo
diciamo senza peli sulla lingua, ha usato questa azienda come succursale di
favori e poltrone. Nel tempo tutte queste usanze si sono stratificate e quindi
hanno portato, molto lentamente, sul burrone Atac. Tutto nasce da quando la Regione
con la giunta Polverini azzerò i trasferimenti previsti dallo Stato ad Atac.
Qui ci domandiamo: dove erano le opposizioni? dove erano i Radicali? Questi
mancati trasferimenti sono poi continuati e appunto per quello che ci troviamo
con questo debito mostruoso. Se le uscite sono più delle entrate è normale che
ci troviamo col sedere per terra e con i mezzi vecchi. Un’altra colpa la si può
asserire ai dirigenti spesso cooptati dal mondo che ruota attorno alla
politica. Dirigenti spesso non all’ altezza e concentrati più sui loro
emolumenti che su come migliorare il servizio. Ovviamente tra di loro ci sono
persone capaci, ma vengono offuscati, o peggio, messi all’angolo perché danno
fastidio. Poi ci fermiamo qui, altrimenti ti becchi una querela e poi ti
dobbiamo portare le arance a Rebibbia. Anzi, tu sei molto addentrato nei
problemi di Atac, con il Blog te ne occupi dal 2012, ti sarai fatto un’idea dei
disservizi, secondo te di chi sono le colpe?»
«L’idea del Blog», gli rispondo, «è
nata come forma di lotta alternativa, contro la dilagante ignoranza dei media e
della politica, di qualunque colore, nonché contro la viscerale tracotanza
aziendale, che ha raggiunto il culmine nel 2010, quando è stata creata la nuova
Atac, divenuta presto un marchettificio, lo si intuisce tra le righe delle
carte giudiziali. I problemi di Atac, torno a ribadire, non sono legati al
fatto che sia una società pubblica, bensì dalle scelte scriteriate attuate nel
corso degli anni dai manager, che, malgrado il conclamato fallimento, continuano
a occupare posti apicali e a ciucciarsi stipendi da capogiro. Questo, insieme alla
riduzione dei corrispettivi Stato/Regione, come hai avuto modo di ricordare, ha prodotto un mix devastante. Atac guarisce cambiando radicalmente il management,
tagliando quello che definisco da anni lo zoccolo
duro, che ha la forza e il potere, quello vero, di defenestrare
amministratori virtuosi come l’ingegner Rettighieri.
Hai detto bene, Atac, con la sua storia, è patrimonio della collettività, e
deve rimanere pubblica. Io amo Atac, ma non amo i suoi dirigenti e quei
politici che, fregandosene, non hanno fatto un cazzo per cambiare le cose. È risaputo».
«Chi ci rimetterà in questa
eventuale privatizzazione», rincara @conduttoremetrob, «saranno solo i
cittadini delle fasce deboli. Ai quali verrebbe meno il diritto alla mobilità,
prevista dalla nostra Carta Costituzionale. Quindi scegliendo di votare no,
difendiamo anche la nostra Carta. In Inghilterra
stanno tornando indietro dopo le privatizzazioni selvagge fatte in epoca Tatcher. Hanno visto che il servizio è
peggiorato, sono aumentati gli incidenti, il prezzo del biglietto è salito.
Insomma il privato su un servizio essenziale, come quello del trasporto
pubblico, non è sempre la soluzione».
«Non posso darti torto», aggiungo,
«del resto basta guardare la qualità delle linee di bus periferici, pari a
circa il 20% dell’offerta di
servizio di superficie su gomma, affidata a RomaTpl scarl, consorzio di aziende private. Che nell’insieme offre,
al netto del trattamento penalizzante riservato al personale e ai costi maggiori
sostenuti da Roma Capitale per Vett/Km,
rispetto a quelli sborsati ad Atac, un servizio precario e deprecabile».
«Attese lunghe, corse che saltano, stipendi dei dipendenti che non vengono
versati con regolarità», afferma lapidario il macchinista, «questo è il privato
che gestisce le linee periferiche di Roma. Ci stanno facendo fare la guerra tra
poveri. E’ questa la verità, Ci stanno distraendo sui veri problemi del
trasporto pubblico».
«Dovremmo unirci tutti insieme,
lavoratori e cittadini, e pretendere una gestione più trasparente delle aziende
del Comune. In fin dei conti noi cittadini siamo i proprietari. Quindi pensiamo
che sia giusto pretendere una Carta dei Servizi (peraltro prevista) delle
aziende. Pensiamo sia giusto pubblicare mensilmente i dati delle corse di ogni
singola linea, bus, tram e metro e ferrovie, e di chiedere scusa ai cittadini
ogni volta che c’è uno scostamento da quanto previsto dalla Carta dei Servizi.
Pensiamo sia giusto organizzare giornate di “porte aperte” per far vedere il
lavoro che c’è dietro una metro, un treno, un tram. Insomma aprire l’Azienda ai
cittadini perché di fatto è di tutti noi. Forse così, invece di indire costosi
referendum, si capirà perché i bus non passano e le ferrovie concesse stanno a
15 minuti». Alè.
David Nicodemi
Al Referendum dell'11 novembre Mejo de No
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