Atac al capolinea



Anche gli autobus dell'Atac potrebbero rimanere senza gasolio.   

In molti, leggendo quanto è accaduto a Napoli lo scorso 31 gennaio, avranno pensato: “e se accadesse pure a Roma?” Sì, a Roma, la Capitale di Italia, la città millenaria dalle camaleontiche sfaccettature, carica di cotanta storia; Roma, proprio lei, laddove tutto è così solenne, maestoso e avvolgente, il cui fascino riesce a far dimenticare le sue innumerevoli contraddizioni. Ma no, non è possibile che si arrivi a tanto: “Roma è Roma – si saranno risposti per rincuorarsi -, a Roma ci sono i turisti, San Pietro. No, no, è una bufala!”  

L'indiscrezione che sta circolando da giorni nei corridoi delle autorimesse di Atac SpA, in modo sommesso, a mezza bocca, è di tutt’altro avviso; e non sembrerebbe essere la solita chiacchiera da bar, buttata là tanto per creare scompiglio e malumori. La cosa è seria, o così pare, più che altro perché le preoccupazioni arriverebbero direttamente dai piani alti del quartier generale di via Prenestina. In sostanza, stando a quanto si mormora, in primavera gli autobus di linea rimarrebbero a secco, senza gasolio, la Società non avrebbe le risorse necessarie per acquistarlo.  

A rafforzare questa notizia, gioca il fatto che Atac ha espresso l’intenzione di stipulare polizze assicurative con scadenza trimestrale anziché annuale. E se tanto dà tanto vien da pensare, infatti, che il giocattolo si è spezzato, che “Parentopoli” ha presentato il suo salato conto.

Che Atac SpA navighi in cattive acque è risaputo, com’è altrettanto risaputo che gli artefici del grave disavanzo è la governance e l’amministrazione capitolina, che, scientemente, lo hanno rovesciato sulle spalle degli operatori dell’esercizio e degli utenti: hanno aumentato il costo dei biglietti e degli abbonamenti, ridosso all’osso le manutenzioni dei materiali rotabili (- 50milioni di Euro solo nel 2011), calpestato i diritti lavorativi degli operatori dell’esercizio, che non hanno neanche la possibilità di fruire delle ferie maturate, ipotecato e svenduto i beni societari e lasciato gli impianti al completo abbandono. Si sono comportati come i feudatari, hanno tagliato i viveri ai “servi della gleba”, la comunità, a costo di mettere a repentaglio la sicurezza (la storia dei pneumatici insegna), e mantenuto i privilegi della casta, formata da uno stuolo di dirigenti e di amministrativi, con i loro abbondanti stipendi e superminimi. 
  
Ma in quale altra Società - SpA o Srl che sia - il management avrebbe così danneggiato la produzione, il settore che fornisce i servizi e i guadagni? Nessuna, sarebbe un’assurdità: è un po’ come se un fornaio impiegasse i profitti per la rappresentanza anziché per la cura dei suoi forni, degli strumenti che gli consentono di tenere aperta l’attività.


Tuttavia, nonostante la politica di rigore, applicata tardivamente e per lo più alla rovescia, i conti sono rimasti in rosso, in profondo rosso. E loro, gli illustri manager, non sanno come sbrogliare la matassa, specialmente adesso che l’indice della produzione sta miseramente franando, di mese in mese, di giorno in giorno, di ora in ora. Lo si vede dall’elevato numero delle corse soppresse, in continua ascesa, dovute dalla mancanza del personale – quello andato in pensione non è mai stato rimpiazzato – come dai guasti delle vetture.

I nodi sono venuti al pettine, la recessione da un lato e il malgoverno dall’altra, hanno di fatto paralizzato una delle società di trasporto più grandi d’Europa, che conta circa 12mila dipendenti. E mentre accade ciò, i fautori del disastro, riconducibili al centrodestra romano e laziale, hanno trovato il coraggio di presentarsi alle elezioni regionali.

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