Quando il Cinquestelle difendeva il Treno della Tuscia
Non sono certo di oggi le contraddizioni e le dimenticanze del M5S Capitolino, specie se si fa un raffronto con gli atti presentati nella passata consiliatura, quando i pentastellati erano all’opposizione
Sono molte le contraddizioni e le
dimenticanze del M5S Capitolino, specie se si fa un serio raffronto
con gli atti presentati nella passata consiliatura, quando i pentastellati
sedevano tra i banchi delle opposizioni. Nel caso del materiale rotabile
metroferroviario di interesse storico in gestione all’Atac, controllata dal 100 per cento da Roma Capitale, spicca l’interrogazione del 5 maggio 2014 (Prot. 8474) dell’attuale Presidente della
commissione trasporti Enrico Stefàno.
Due pagine, fitte di osservazioni – legittime – al bando di
gara con il quale l’Azienda dava il via alle demolizioni, pubblicato il mese
antecedente alla data dell’interrogazione: «si
potrebbe trattare», recita il documento, «dell’ennesimo danno non solo per i pendolari, ma anche della memoria
collettiva della Città di Roma». «Più
sconcertante», continua, «potrebbe
essere la vendita dei cosiddetti rotabili storici della Roma-Lido e
della Roma-Viterbo. Il lotto 1 prevede anche la cessione dei
locomotori del 1914 della Roma-Lido e il lotto 3 liquida tutti
i treni superstiti del 1932 appartenenti alla Roma-Viterbo. Questi
convogli, che una volta rientravano nel progetto di ricostruire il “trenino della Tuscia”, ora sono a
rischio demolizioni». Inoltre, «anche
se non hanno raggiunto l’età di 75 anni la MR 106 e la MR 107, le ultime due
motrici appartenenti alla primissima fornitura per la metro B del 1954 sono
considerati come materiale di grande interesse storico. Per non parlare poi
delle MR 200 del 1956 e delle MR 300 del 1976».
Materiale che con «pochi
ed economici interventi», sottolineava Stefàno, «si potrebbero ancora impiegare» e «si potrebbero inoltre trasferire
alcune MR 100-200-300 nel Polo Museale di Porta San Paolo o in altri
spazi/stazioni o lungo le linee metroferroviarie gestite da Atac SpA».
Pertanto, «si interroga il Sindaco [Marino ndr] e l’Assessore competente [Improta ndr] per sapere se non sia economicamente più
vantaggioso, e rispondente alle esigenze di trasporto pubblico della
collettività, riutilizzare o destinare ad un polo museale i treni di cui sopra».
La difesa fu lodevole, «l’Atac è un’Azienda storica», dichiarò
l’esponente nel comunicato stampa, «la sua
storia non può essere rottamata per poche migliaia di euro». Bene, e poi? Poco
o nulla. Una volta passato in maggioranza e eletto Presidente della commissione
Trasporti, una delle più incisive, dopo la straordinaria vittoria del M5S a
Roma, Stefàno sembra essersi dimenticato di tutto e Atac, i cui vertici erano stati nel frattempo riconfermati, altro colpo di scena, proseguì imperterrita.
Ci ha pensato la Presidente del gruppo consiliare #romatornaroma, consigliera Svetlana Celli, a riportare il tema al
centro dell’agenda capitolina. Dapprima con l’interrogazione del 18 gennaio
2017 (n.26/2017), «visto che la demolizione totale ed indiscriminata dei
convogli cancellerebbe una memoria storica collettiva che potrebbe essere
invece mantenuta e valorizzata interroga la Sindaca e l’Assessore competente
per sapere se, comunque, l’Amministrazione Capitolina non ritenga più opportuno
salvaguardare il patrimonio storico costituito dai convogli di cui alle
premesse», successivamente con la mozione n. 28/2017, votata all’unanimità dal
Consiglio Comunale, maggioranza M5S e Stefàno compresi: «L’Assemblea Capitolina
impegna la Sindaca e la Giunta a porre in essere tutte le iniziative necessarie
ed adottare ogni atto idoneo finalizzato alla sospensione delle predette
demolizioni» nonché «a promuovere opportuni incontri con le associazioni
interessante, finalizzati a individuare i convoglio, tra quelli inseriti nel
bando pubblicato sulla G.U. n. 44 del 16.04.2014, parte V – serie speciale -,
da destinare alla conservazione e alla composizione del Treno della Tuscia».
Per comprendere meglio la natura del provvedimento, è utile attingere
sia al Regolamento di Roma Capitale,
che all’articolo 109 recita «la mozione è un atto di indirizzo
deliberato dal Consiglio Comunale per impegnare il Sindaco e la Giunta al
compimento di atti o all’adozione di iniziative di propria competenza»,
sia al vigente Statuto di Roma Capitale.
Che all’articolo 16 evidenzia «l’Assemblea
Capitolina è l'organo di indirizzo e di controllo politico-amministrativo di
Roma Capitale», mentre all’articolo 25 sottolinea che «la Giunta Capitolina collabora con il
Sindaco nell’attuazione degli indirizzi generali dell’Assemblea Capitolina e
nell’amministrazione di Roma Capitale e informa la propria attività ai principi
della collegialità, della trasparenza e dell’efficienza». Chiusa
parentesi.
Le premesse facevano ben sperare, viceversa, come si è visto,
il 13 aprile 2017, a pochi mesi dalla votazione della mozione, l’Azienda ha
dato il via a quelle che sono state ribattezzate le «Demolizioni a Cinque Stelle», dove furono macellate le MR 200 del 1956 e 9 vetture della RomaNord. Un episodio increscioso
che è servito a far emergere, ulteriormente, le contraddizioni in seno al M5S
Capitolino o, peggio ancora, la scarsa autorevolezze dell’Amministrazione.
Che avrebbe dovuto ascoltare e accogliere gli inviti delle
Associazioni e/o Comitati promotori, e disporre alla sua Azienda - l’Atac - di preservare
convogli tecnicamente idonei per la costituzione del Treno della Tuscia,
indipendentemente dal loro stato di conservazione. Si è assistito, invece, ad
una contorsione e capovolgimento dei ruoli istituzionali, una mescolanza
spaventosa, dove chi poteva decidere sembrerebbe aver subito, passivamente, i
diktat di chi, al contrario, avrebbe dovuto eseguire. E in questo gioco
assurdo, l’ambito progetto, che potrebbe portare giovamento al turismo e all’indotto
di quelle zone attraversate dalla Roma-Viterbo, rischia di naufragare prima di
incominciare. Anche a causa dell’impasse del Presidente della Regione Lazio Nicola Zingaretti, grande assente
insieme alla Sindaca Raggi.
Aveva ragione Pier
Paolo Pasolini: «Noi siamo un Paese senza memoria. Il che equivale a
dire senza storia. L’Italia rimuove il suo passato prossimo, lo perde
nell’oblio dell’etere televisivo, ne tiene solo i ricordi, i frammenti che
potrebbero farle comodo per le sue contorsioni, per le sue conversioni. Ma
l’Italia è un paese circolare, gattopardesco, in cui tutto cambia per restare
com’è. In cui tutto scorre per non passare davvero». Vero Stefàno?
Alè.
David Nicodemi
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